Ha destato grandissimo clamore in tutto il mondo la notizia secondo cui Cambridge Analytica ha utilizzato impropriamente i dati personali di circa 51 milioni di utenti Facebook. La società di consulenza inglese avrebbe svolto un ruolo determinante a sostegno di Donald Trump durante la campagna per le presidenziali americane (2015- 2016) e a favore degli isolazionisti della Brexit (giugno del 2016). Il punto di forza della Cambridge Analytica, che da tempo investe nei Big Data e nel settore dell’Intelligenza Artificiale, è stato la profilazione psicologica di massa, grazie ad un approccio microtargeting, influenzando così l’esito del voto.
Lo scandalo Facebook è ormai noto e riportato sulle principali pagine dei giornali di tutto il mondo, iniziando da The Guardian, The New York Times e Channel 4, i primi a darne notizia.
Nel 2015, Aleksandr Kogan, docente di psicologia a Cambridge, attraverso l’app “Thisisyourdigitallife” collegata a Facebook, è riuscito a ottenere la profilazione di primi 270.000 utenti, che ignari hanno dato il consenso per partecipare ad un’indagine a fini esclusivamente accademici. Ciascuno degli utenti di Facebook, utilizzando l’app offerta dal professore Kogan, ha consentito l'accesso anche alle informazioni dei propri amici: così Kogan è riuscito facilmente a scalare oltre 50 milioni di profili Facebook, che in seguito verranno venduti alla Cambridge Analytica. Attraverso algoritmi di psicometria, una disciplina che misura le caratteristiche psicologiche di un individuo e dunque la sua personalità, la Cambridge Analytica è riuscita a ricostruire e a classificare le identità di milioni di elettori, influenzandone la decisione di voto.
L’accusa mossa al CEO di Facebook è che la società sarebbe stata a conoscenza dell'utilizzo illecito dei dati già dal 2015 e si sarebbe attivata solo per chiederne l'immediata cancellazione alla Cambridge Analytica, senza informare i propri utenti della violazione.
Sebbene quanto accaduto sia di enorme gravità, non deve stupire, poiché la compravendita di dati nell’era digitale non è affatto l'eccezione, ma la regola; ovvero è esattamente il modello di business applicato da Facebook così come da altri colossi del web, come Google, Amazon, ecc., modello che le ha rese tra le più imponenti e ricche società del pianeta, con flussi di cassa mostruosi.
D’altro canto, è inevitabile che la bolla mediatica esplodesse, sia in virtù delle vicende che legano la Cambridge Analytica con la campagna di Trump e con lo schieramento vincente della Brexit, sia in virtù del fatto che uno degli elementi che compongono il quadro è il più imponente tra i Social Network con ben oltre 2 miliardi di utenti. Se non fossero stati questi gli ingredienti, probabilmente nessuno avrebbe sollevato il caso sull’utilizzo improprio delle nostre identità digitali.
A tutela di questa prima grande “spy story digitale” è entrato in vigore il 25 maggio 2018 il regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, il GDPR, General Data Protection Regulation, che impone a tutte le aziende europee un cambio di paradigma in tema privacy.
La speranza è che possa aprirsi un nuovo scenario in cui non vi sarà spazio per sortite sui nostri dati come quella descritta. I dati dovranno essere maneggiati in maniera adeguata nel rispetto della privacy e della gestione in sicurezza. Chi non si adegua, pagherà molto salato, perché sono previste multe di milioni di euro, fino al 4% del fatturato dell’azienda non compliant.
Certo sarà un onere in più per il Garante della Privacy far rispettare il nuovo codice in materia dei dati personali, ma anche un onore proteggere i cittadini italiani ed europei contro lo strapotere dei giganti del web, che posseggono le nostre vite digitali e che di esse fanno un uso improprio a fini commerciali e politici.
E noialtri utenti del web, cittadini digitali? Impareremo da questa vicenda a prestare maggiore attenzione, e a non regalare i nostri dati a chiunque li richieda?