Quanto è cresciuto lo smart working in Italia negli ultimi anni? Per rispondere a questa domanda si devono guardare gli ultimi dati di settore che forniscono una panoramica di quanto successo prima, dopo e durante la pandemia. Gli effetti positivi e quelli negativi dello smart working cambiano a seconda dei casi. Per quanto lo smart working abbia i suoi vantaggi, si evidenziano anche alcuni svantaggi che riguardano specifici settori particolarmente colpiti dalla pandemia. Cerchiamo di capire meglio qual è la situazione attuale e che cambiamenti ci sono stati negli ultimi anni.
Quali sono gli ultimi dati disponibili sulla diffusione dello smart working nel nostro paese? A fornire un quadro completo della situazione ci pensa il dossier di Confesercenti “Dopo due anni di pandemia, cambia il lavoro, cambiano le città” redatto a maggio 2022.
Secondo il rapporto, nel 2019 il lavoro da remoto in Italia era poco diffuso. Infatti, solo 184mila cittadini lavoravano abitualmente da casa e si trattava perlopiù di lavoratori autonomi. Se si considera chi lavora occasionalmente da casa, si arriva a un totale di 1,3 milioni di individui, che rappresentano meno del 6% del totale dei lavoratori italiani. Una cifra che dimostra quanto il lavoro da casa non fosse molto utilizzato in Italia. Al contrario, in altri paesi europei lo smart working era già molto presente: in Francia nel 2019 riguardava ben il 23% dei lavoratori, in Germania il 12,3% e in Spagna l’8,4%.
Nel 2020 invece, in piena emergenza pandemica, i lavoratori italiani in smart working sono arrivati a toccare i 9 milioni, rendendo l’Italia il paese più reattivo d’Europa nell’adottare questa modalità lavorativa e con la percentuale più alta di lavoratori impiegati nel lavoro agile (40%) sul totale.
Una volta terminata la fase emergenziale, il ricorso allo smart working in Italia è diminuito: al momento (primi mesi del 2022) si stima che siano circa 4,5 milioni i lavoratori in smart working tra dipendenti e autonomi, mentre buona parte della pubblica amministrazione è tornata in presenza.
Le imprese e i lavoratori sono stati i più colpiti dallo smart working. Per quanto riguarda le prime, secondo le stime, lo smart working ha aumentato i risparmi del sistema imprenditoriale. Un risultato dovuto alla riduzione del personale in presenza e, di conseguenza, ai minor costi per l’affitto dei locali e il consumo di energia elettrica. Tutto ciò ha generato un risparmio complessivo di quasi 12,5 miliardi l’anno.
Per quanto riguarda i lavoratori, se diventasse strutturale, lo smart working porterebbe un risparmio di 9,8 miliardi di euro l’anno per le famiglie italiane. Se, infatti, aumentano i consumi per l’acquisto di beni alimentari e per le bollette, diminuiscono le spese per i mezzi di trasporto, i servizi di ristorazione, l’abbigliamento e la cura della persona.
Lavorare da casa lontano dai luoghi di lavoro, tuttavia, ha prodotto anche effetti negativi sulle attività economiche localizzate nei posti maggiormente frequentati dai lavoratori. Poiché gli uffici al momento non vengono utilizzati, o lo sono solo sporadicamente, interi settori produttivi sono finiti in ginocchio: pubblici esercizi e ristorazione, attività ricettive, imprese dei trasporti, organizzazione di convegni e seminari (turismo congressuale). Inoltre, la diminuzione degli spostamenti casa-ufficio ha prodotto conseguenza negative su varie attività economiche come, ad esempio, il settore dei carburanti e quello dei mezzi di trasporto pubblico.
Anche per le città, così come per imprese e lavoratori, il cambiamento portato dallo smart working è stato evidente, soprattutto nelle metropoli in cui il settore terziario è più sviluppato.
In un regime di smart working strutturale, si stima che circa 4,9 lavoratori al giorno non lascerebbero la propria abitazione - di questi circa 1 milione utilizzano un mezzo pubblico, mentre 3,9 milione un mezzo privato (auto o moto) -, riducendo in questo modo i livelli di inquinamento atmosferico. In più tra il 2020 e il 2021, 400mila individui hanno cambiato città grazie allo smart working, con il 75% di loro che è tornato nella città nativa e il 25% che ha preferito una città diversa.
È anche evidente che, il prolungato ricorso allo smart working, sta portando sempre più italiani a preferire abitazioni con spazi aperti fuori dai centri storici. Lo stesso fenomeno è stato osservato nel segmento degli immobili commerciali, con conseguenze sul modo di vivere le città e uno spostamento degli investimenti verso i quartieri più periferici e residenziali.
Ma come gestire il cambiamento e soprattutto quali sono le previsioni per il futuro? Vediamo insieme quali potrebbero essere i punti da tenere in considerazione per gestire questo cambiamento.
Infine, come abbiamo potuto vedere, lo smart working ha portato cambiamenti positivi (riduzione dell’inquinamento atmosferico) e cambiamenti meno piacevoli (spopolamento delle grandi città e servizi associati) diventando così argomento di dibattito. Sarebbe opportuno, alla luce di ciò, cercare un punto di equilibrio, trovando delle soluzioni per diminuire gli svantaggi e aumentare i benefici di questa nuova modalità di lavoro.
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